I forti italiani del “settore Val d’Adige Monti Lessini” erano costituiti: da opere risalenti all’epoca austriaca, rimaneggiate tra il 1882 e il 1884, da forti poligonali edificati a partire dal 1885 e successivamente in parte riammodernati e da batterie blindate tipo “Rocchi”, realizzate lungo la linea di confine tra il 1906 e il 1915.
Le fortificazioni anteriori al 1900 erano costruzioni protette esternamente da conci di pietra. All’interno erano ricavati locali con volte a botte e pareti realizzate con mattoni a cotto, rivestite con un leggero strato d’intonaco. Le strutture murarie erano rinforzate con terra riportata negli interstizi e sulle coperture. Disponevano di artiglierie in casamatta e di postazioni in barbetta (a cielo aperto).
Nel 1884 la comparsa delle granate shrapnel (proiettili a frammentazione) e nel 1885 l’introduzione delle artiglierie da 150 mm resero queste costruzioni inadeguate alle “moderne” funzioni difensive.
Allo scoppio della guerra molti dei forti di costruzione più antiquata vennero destinati a semplici magazzini.
La fortificazione vera e propria era costituita da un edificio rettangolare, realizzato generalmente su tre livelli in cemento stratificato. La struttura perimetrale veniva talvolta rifinita con muratura di pietrame e malta, con sassi esterni lavorati a scalpello e sagomati nei fori delle porte e delle finestre. Tutte le aperture verso l’esterno erano date di chiusure blindate.
Nel sotterraneo si trovavano i serbatoi dell’acqua potabile, le cisterne della benzina e i depositi di carbone.
Il pianoterra ospitava il locale dei generatori con i motori dinamo, alloggiati su zoccoli in pietra, il quadro elettrico in ceramica, disposto a parete, l’infermeria, le cucine e altre stanze adibite ad alloggio e magazzino. Sempre al pianoterra si trovava il locale comando, collegato con una scala in ferro all’osservatorio a scomparsa e messo in comunicazione con i singoli pozzi di artiglieria mediante tubi acustici.
Il piano rialzato era costituito dal blocco batterie, formato da un corridoio dal cui soffitto pendevano grossi aspiratori. Dal corridoio si dipartivano le riservette laterali e le rampe di scale che conducevano ai pozzi di artiglieria. Gli obici erano ricoperti da cupole in acciaio, alloggiate su meccanismi a rullo che consentivano una rotazione della piattaforma del pezzo di 360°. Il rifornimento delle munizioni avveniva dai montacarichi con carrelli su binari e carrucole utilizzate per superare le rampe delle scale che conducevano ai singoli pezzi. Tutte le operazioni di tiro venivano eseguite dagli artiglieri alla cieca predisponendo le coordinate trigonometriche e le cariche di lancio trasmesse con i tubi acustici. I calcoli, effettuati sulla base alle indicazioni provenienti dall’osservatorio, venivano eseguiti dagli ufficiali sulle tavole di tiro, disposte su un bancone della sala comando.
Le opere “blindate”, modello Rocchi, costruite nei primi anni del 1900, erano fortificazioni di montagna, dotate di artiglierie corazzate in pozzo. Presentavano generalmente una caserma, per l’alloggio della guarnigione, disposta in posizione defilata, spesso collegata alla fortificazione vera e propria per mezzo di una postierla (galleria sotterranea).
L’impossibilità di resistere al tiro degli obici pesanti austriaci e per la Val d’Adige l’eccessiva distanza delle opere “corazzate” dalla prima linea indussero il Comando Supremo Italiano a dare l’ordine di disarmare progressivamente tutti i forti del Veronese.
I cannoni del forte di Punta Naole, tolti dalle cupole vennero sistemati in batterie campali sulla linea Altissimo Varagna.