Le chiatte del Monte Baldo

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Non vi sono navi sul Monte Baldo. Ma quei strani edifici bassi ed allungati, con alto camino posto ad un capo della struttura e la forma arrotondata dei lato opposto, con quella loro posizione solitaria ed emergente sui dossi, somigliano da lontano a delle chiatte o a dei barconi che navigano nel quieto verde dei prati, tra l’azzurro intenso del cielo ed il blu del sottostante lago. A parte questa. concessione letteraria, cerchiamo di capire cosa sono state e cosa rappresentano oggi le 52 malghe baldensi. L’allevamento bovino ha ricevuto notevole impulso a partire dal XVII sec. grazie ad un miglioramento tecnico e qualitativo introdotto dalla nobiltà locale, evidenziatosi poi nei settecento ed ottocento. Tutto questo a scapito dell’allevamento ovino e caprino che venne sempre di più marginalizzato e relegato nelle zone più elevate ed impervie. E in questo periodo che nascono le malghe attuali, con la costruzione di idonei baiti che sostituiscono le precedenti casàre e si tracciano le tradizionali direttrici dell’alpeggio.

La pastorizia e l’alpeggio sul Monte Baldo

Si può iniziare a parlare di pastorizia sul Monte Baldo a partire dall’Età del Rame (fine IV millennio a.C.) e nell’Età del Bronzo quando le piccole comunità locali iniziarono a portare le proprie greggi dalla piana e dalla collina all’alpeggio, praticando la caccia e frequentando i ripari sottoroccia, già sfruttati dai cacciatori-raccoglitori dei Mesolitico. Dall’epoca romana e poi in quella altomedioevale il Monte Baldo è stato interessato da una consistente pastorizia ovina e caprina, scarsamente bovina, con forme di transumanza lungo percorsi tradizionali che dalla piana di Caprino portavano sui pascoli e sulle creste e scendevano poi in Val d’Adige. Nel basso medioevo diverse migliaia di ovini raggiungevano in estate i pascoli baldensi, provenienti dalla pianura veronese-mantovana, ed in particolare dalla Val d’Adige veronese e trentina.
La transumanza iniziava il 23 aprile, giorno di San Giorgio. Il giorno precedente i pastori compivano dei riti di purificazione delle greggi che si rifacevano all’antica tradizione religiosa romana della Palilia, festa propiziatoria ed espiatoria.
Tipica del Baldo era la robusta pecora Brenténega adatta ai pascoli magri delle alte pendici baldensi. Queste greggi transumanti si aggiungevano al consistente numero di ovini che stanziavano sulle pendici baldensi: nella prima metà del XVI sec. Caprino contava ben 6110 pecore e nel 1826 il suo distretto possedeva ben 6658 pecore e 1328 capre, raggiungendo le 8000 pecore alla fine del XIX sec. I pegorari (pastori di pecore) utilizzavano come rifugi nella zona più elevata, piccoli ricoveri costruiti a secco, con rocce calcaree, ricoperti da paglia, frasche o rami di pino mugo (baiti), oppure cavità naturali sotto roccia.
L’allevamento bovino ha ricevuto notevole impulso a partire dal XVII sec. grazie ad un miglioramento tecnico e qualitativo introdotto dalla nobiltà locale che aveva ricevuto i beni dalla Serenissima, evidenziatosi poi nel settecento ed ottocento anche nelle proprietà comunali acquisite. Tutto questo a scapito dell’allevamento ovino e caprino che venne sempre di più marginalizzato e relegato nelle zone più elevate ed impervie.
È in questo periodo (sec. XVII-XVIII) che nascono le malghe attuali, con la costruzione di capaci baiti in pietra che sostituiscono le precedenti casàre del XV-XVI sec. a pianta generalmente quadrata e si disegnano le tradizionali direttrici dell’alpeggio bovino. Il “cargàr montagna” (la monticazione estiva), iniziava ed inizia ancora tra la fine di maggio ed i primi di giugno, a seconda dell’andamento della stagione invernale. Dalle contrade più basse, il bestiame saliva lunga le vie pastorali, verso la montagna. La vita del malghese durante i quattro mesi dell’alpeggio era divisa tra il pascolo ed i fabbricati della malga ed era scandita da regole, attività ed orari fissi e ripetitivi.

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Il periodo dell’alpeggio trascorre, intervallato ed interrotto da alcune feste. Tradizionale erano le feste della Terza de Lujo (terza domenica di luglio) a Vilmezzano di Caprino, della Madonna della Neve il 5 agosto e di San Bartolomeo a Pazzon, il 23 agosto. In Settembre per i malghesi è tempo “de far i conti”, cioè di tirare le somme sull’andamento dell’alpeggio. Altra festa era quella di Sant’Eustachio che si teneva nella chiesetta di Monteselli il 20 settembre Ormai ci si appresta ad “andar incontra al Santo”, si è pronti cioè a “far Sammichel”. San Michele, il 29 settembre è la data tradizionale di fine alpeggio, quando le mandrie tornano verso i loro alloggiamenti invernali passando per la fiera-mercato di Prada. Nel Brentonicano la fine dell’alpeggio si festeggia invece il 21 settembre, giorno di San Matteo.

Dopo la Seconda Guerra Mondiale la malga dei Monte Baldo è entrata in crisi come struttura economica ed in conseguenza della crisi agricola, dello spopolamento, delle normative comunitarie europee e delle nuove tecnologie, le caratteristiche dell’alpeggio sono cambiate radicalmente. Ormai sono poche le malghe baldensi che vengono utilizzate secondo i canoni tradizionali. Gestite da privati, ma anche da consorzi di allevatori che le prendono in affitto dai comuni, principali proprietari da vari secoli (due terzi delle malghe sono di proprietà comunale), le malghe vengono “caricate”, cioè ospitano in media sui 30-40 capi (“paghe”) di bestiame, ma in alcuni casi possono anche raggiungere e superare i 100 capi.

Le lattifere con più di due anni sono considerate delle “paghe”, mentre quelle con più di un anno ma sotto i due, sono mezza paga”. Fanno poi una “paga” quattro vitelle sotto i dieci mesi, mentre i cavalli contano per due “paghe” e le pecore “un sesto di paga”.

I pascoli più ricchi e floridi del Monte Baldo, adatti all’alpeggio, sono quelli di Ime-Valfredda sul versante orientale della dorsale che va da Naole a Costabella e quelli tra malga Ortigara e Valvaccara sul versante occidentale della medesima dorsale. Inoltre abbastanza buoni sono anche i pascoli della Colma di Malcesine, di Novezza, delle Malghe Prazagano, Cerbiolo, Colonei di Caprino e Pesina, dei Zocchi e di Monteselva. In Trentino i pascoli più sfruttati sono quelli del Brentonicano e di Avio.

La qualità dei pascoli baldensi, soprattutto nel versante meridionale e nelle zone ripide o sommitali non è comunque molto soddisfacente, sia per la scarsità di precipitazioni estive, sia per l’abbandono della pratica del decespugliamento e per la scarsa manutenzione operata, in quanto ormai le malghe vengono utilizzate solo per la mungitura del bestiame ed i malghesi non vi risiedono più nella maggior parte dei casi.

Alcune malghe sono ormai inutilizzate (soprattutto quelle non raggiunte da strade), ed alcune versano in stato di degrado, mentre avrebbero bisogno di interventi di restauro e di ripristino, tali da restituirle non tanto alle loro funzioni originarie (non più proponibili in molti casi), ma in modo da valorizzarle culturalmente e turisticamente anche prevedendone un utilizzo come basi per escursioni, come piccoli centri per il turismo sociale e giovanile, come musei dell’alpeggio, come punti d appoggio per l’agntunsmo o per itinerari equestri, oppure come posti tappa-rifugio per lo SCI escursionismo o la mountain bike. Andrebbe inoltre promossa e valorizzata, riqualificandola, la produzione tipica del formaggio baldense (monte veronese DOC), ricercando forme idonee di cooperazione per la produzione e adeguati strumenti di distribuzione del prodotto.

La malga baldense

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Tipica malga baldense

La malga baldense è un appezzamento di terreno costituito da pascoli con pozze d’alpeggio, da qualche tratto di bosco e caratterizzata da un baito da cui svetta il tipico camino posto ad un capo dell’edificio, mentre al capo opposto la muratura assume una forma generalmente arrotondata. Una costruzione dovuta alla tradizionale maestria dei montanari e ad esigenze pratiche e funzionali di tipo zootecnico. Il baito di malga nasce nel XVI-XVH sec. ed inizialmente e molto semplice, costituito da un unico locale (“logo del late”), realizzato trasformando ed adattando i precedenti baiti dei pastori di pecore posti in una fascia tra i 1000 ed i 1600 metri d’altezza.

Si tratta di edifici formati da un ovile e vòlto posto sul davanti e sormontato da uno o più locali (spesso hanno anche un piccolo porticato davanti), costruiti con muri a secco e ricoperti di paglia e canne. Questi edifici furono in seguito trasformati in casare. Se ne possono osservare ancora dei bei esempi a fredda, Naole (risalente al 1601), Colonei di Caprino e di Pesina, Montesel, ecc.

L’esigenza di consentire la residenza ai mandriani e di migliorare la lavorazione del latte e la conservazione del formaggio, verso la fine del 1600 e nel corso del 1700 ha modificato ulteriormente la tipologia dei baiti.

I baiti vengono costruiti così con due o più locali mentre il camino assume l’aspetto di una torre in modo da poter ospitare capaci caldère.
Fanno eccezione le malghe di Zovèl e Brione situate intorno a 1000 in di quota in radure tra i folti boschi che ricoprono il versante occidentale, che ripetono il modello cinquecentesco veronese.
Le malghe del Monte Baldo occupano oggi una fascia montana compresa tra i 1000 ed i 1500-1600 metri d’altezza (in particolare si concentrano tra i 1100 e 1300 metri) ed i baiti sono posti in posizioni ben ventilate ed areate, su poggi e dossi con un orientamento che e in funzione dei venti principali, in modo mantengano sempre ben arieggiato il “logo del late”.
Il baito del versante occidentale baldense presenta delle modeste differenze da quello orientale: la posizione del camino si trova su di un lato e non a capo dell’edificio, ed il “logo del late” è a pianta rettangolare anziché possedere un lato a semicerchio.
Ma la forma e le caratteristiche peculiari del baito del Baldo meridionale, a qualunque versante appartenga, sono comuni. Si tratta di costruzioni con murature a secco o che impiegano sassi calcarei rinvenuti sul posto (la “malta” verrà utilizzata alla fine del secolo XIX e ne secolo XX), con una pianta che si presenta di forma rettangolare avente lati di 5 metri per 7-8 metri.

Solo alcuni baiti ottocenteschi possiedono una Pianta più allungata e complessa, in quanto comprendono anche una camera, una casàra od una piccola stalla; tra questi segnaliamo i baiti di Novezzina, Topèi, Pralungo ed i Zocchi.

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Il baito è diviso in due locali: il “logo del fogo” ed il “logo del late” . Il “logo del fogo” deriva il nome da un grande focolare semicilindrico che serviva a contenere la “caldèra” (capace paiolo di rame) in cui si riscaldava la “broda” (il latte scremato) per ottenere il formaggio. Questo locale serviva spesso come abitazione del malghese dato che il focolare favoriva tutti gli usi domestici. Qui vi erano anche i letti a castello per i malghesi (“binèle”).
Il “logo del late” si trova sempre sul lato a valle del baito e spesso termina in forma semicircolare per facilitare lo scorrimento dell’aria. Possiede delle piccole finestre, larghe circa 80 cm, sbarrate da paletti di legno o feritoie in pietra, in modo da consentire una migliore areazione al locale che serviva come deposito del latte nelle “mastèle” (basse e larghe bacinelle in legno) collocate sulle “scalère” (scansie disposte lungo la parete), in modo potesse affiorale la parte grassa (panna).
Il grande camino che dà una nota molto originale alle malghe del Baldo, e a forma di torre ed e situato a capo o su un fianco dell’edificio.
La sua altezza e sporgenza è dovuta a due motivi: la necessità di ospitare all’interno le grandi caldère e l’esigenza di prevenire possibili incendi, dato che il tetto della malga fino al secolo scorso era ricoperto di canna palustre (“canel mantoan”) e quindi facilmente infiammabile. Perciò i fori del camino nelle malghe più antiche sono aperti verso l’esterno dell’edificio.
Sotto i due “loghi”, si trova frequentemente una piccola stalla con copertura a vòlta, che serve a ricoverare il bestiame giovane od ammalato, quasi sempre scavata nel fianco del dosso.
Nel XIX e XX secolo, il baito si è inoltre arricchito di camere ed altri locali accessori, funzionali e necessari alla vita e ai lavoro dei malghesi, come a malga Topèi, Grò ed Ime. In origine, alcuni di questi locali erano separati dal baito e sorgevano nelle vicinanze, come la casera dove venivano riposti e conservati i formaggi ed il porsil che ospitava i maiali. Tale tipo di disposizione è ancora riscontrabile a malga Vafredda di dentro o a Colonei di Caprino e di Pesina.

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Altri elementi tipici che completano l’organizzazione della malga baldense sono il marès che è uno spazio nei pressi della malga in cui sosta il bestiame per le due mungiture e quindi è tutto calpestato e lordato; i muretti di delimitazione e di recinzione dei pascoli, in pietra a secco (che in passato dovevano difendere anche dai lupi); un piccolo orto per coltivare ortaggi utilizzati per variare la dieta dei malghesi; la “pozza” dove si raccoglie l’acqua piovana che serve per abbeverare il bestiame, ed infine le “riserve” o “baiti”, cioè piccole aree quadrate o rettangolari di abeti, più anticamente di faggi, fittamente piantati e cintati da muretti a secco. Queste “riserve” che si staccano dal lineare orizzonte dei prati, servono al ricovero del bestiame durante la notte, in caso di temporali o nei giorni di gran caldo. Si tratta insomma di vere e proprie stalle all’aperto per i bovini, le quali invece, sul Monte Baldo sono molto poche.

Ricordiamo la bella stalla ottogonale “l’Ottagono” di Albarè di Ferrara di Monte Baldo, costruita dal comune alla fine del secolo XIX con ampie arcate, buon uso di lastame e dotata e di uno spazio alberato al centro (oggi utilizzata come Foresteria dall’istituto “Gresner”.), o la stalla decagonale di Polsa, nella parte trentina. Altre stalle più recenti, sono quelle di Gambone e di Novezzina. Anche i baiti dei Baldo trentino sono diversi nella tipologia da quelli veronesi (si vedano ad esempio le malghe Fassaole, Lavacchio e Artillone, prossime al confine), per una diversa concezione dell’allevamento ma anche per le distruzioni belliche provocate dalla Grande Guerra.

Un paesaggio unico quello rappresentato dalla malga montebaldina con i suoi annessi; una organizzazione razionale costruita dall’uomo, che si è inserita armonicamente nel più grande contesto della montagna, tanto da divenire un elemento tipico e caratterizzante dell’ambiente locale.

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