La coltivazione del castagno nell’area baldense risale al 1285, mentre in un documento del 1352 si asserisce di castagni coltivati nei terreni di Lubiara e di Caprino Veronese. Il castagno inizialmente era coltivato sulla fascia tra i 600 e i 900 metri, in seguito, nell’Ottocento, la loro diffusione interessò sia il versante orientale sia quello occidentale del Baldo e in modo particolare San Zeno e le sue contrade.
Come si può ben capire la coltivazione del castagno è un’arte antica.
Il lavoro inizia durante l’estate con la potatura dei polloni, le pòle, in eccesso; quindi con un rastrello si procede alla pulizia del terreno dai ricci caduti vuoti a terra, i rissi vani. I primi frutti raccolti sono chiamate castagne sanmicheline, giacché sono riferite al giorno di San Michele, il 29 settembre. Con i primi croèi, primo indizio che unito al colore marrone dei ricci indica che i frutti sono maturi, si inizia a battere i maròni con lunghe stanghe di bambù, bastoni, sia da terra sia dall’albero. Con la giova, una specie di forcella, si raccolgono i ricci, che riposti nelle sérle, grandi ceste portate a spalle, vengono trasportati nella rissàra dove sono posti a fermentare per almeno una quindicina di giorni. In seguito con il fumagàl, una specie di rastrello con i denti molto distanziati, i ricci vengono rotti e le donne si occupano della selezione che precede la vendita del prodotto. Ancor oggi il lavoro del castagnicoltore rimane in gran parte manuale.
L’Associazione Castagnicoltori è nata nel 1997, nel 2003 il marrone di San Zeno di Montagna è stato riconosciuto come prodotto a denominazione di origine protetta (DOP).
San Zeno di Montagna
Cierre edizioni-Promoprint, 2010